All’apertura della sala c’era una coda interminabile di persone a parlare di questa piccola e misteriosa tavola dipinta dal genio (italiano) più celebre di tutti i tempi. Poi l’inizio dell’asta e, al lotto numero 9, l’arrivo del quadro attribuito a Leonardo. Partito da 75 milioni di dollari le offerte si sono avvicendate senza tregua. 18 minuti e 47 secondi di gara e il frastuono finale con l’applauso liberatorio. Il martelletto del battitore interrompe la tensione fermandosi a 400 milioni. Che significa (diritti d’asta compresi) un assegno di 450,312,500 dollari.
La storia
La vicenda di questo quadro è strana. Il dipinto nel 2011 è stato autenticato da alcuni tra i suoi maggiori studiosi in occasione della mostra che si era svolta quell’anno alla National Gallery di Londra intitolata “Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan”. Raffigura Cristo con una mano benedicente e l’altra che tiene un globo. È un dipinto su una tavola di legno di 65,5×45 cm. Leonardo dovrebbe averlo realizzato a Milano poco prima di abbandonare la città, nel 1499, lasciandone anche alcuni studi, i più noti dei quali sono conservati a Windsor. L’opera era nota grazie a un’incisione di Wenceslaus Hollar eseguita intorno al 1650. Nel catalogo della mostra inglese, Luca Syson (curatore dell’esposizione) aveva ipotizzato che Leonardo avesse realizzato il dipinto per la famiglia reale francese e che poi fosse stato portato in Inghilterra nel 1625 dalla regina Enrichetta Maria di Borbone sposa di Re Carlo I. Ciò che è certo è che è stato registrato nell’inventario della collezione reale. Se ne persero poi le tracce dal 1763 al 1900, quando fu acquistato da Sir Charles Robinson come opera di Bernardino Luini, seguace di Leonardo. Il quadro ricompare magicamente in una piccola vendita all’asta nel 1958 dove viene acquistato per 45 sterline. Poi scompare di nuovo di nuovo per 50 anni, fino al 2005, quando riaffiora sul mercato.
L’autenticità
Nel 2007 la dottoressa Dianne Dwyer Modestini (Senior Research Fellow and Conservator della New York University) ha iniziato il processo di restauro e ha concluso che si trattasse proprio di un lavoro di Leonardo da Vinci. Ulteriori conferme sono arrivate poco dopo dall’esperta Mina Gregori (Università di Firenze) e Sir Nicholas Penny (allora alla National Gallery of Art, Washington, DC, successivamente direttore della National Gallery di Londra). L’anno seguente era stato analizzato e studiato anche dagli esperti del Metropolitan Museum of Art: Carmen Brambach, Andrea Bayer, Keith Christiansen, Everett Fahy e Michael Gallagher. Secondo la Brambach il dipinto più che a Leonardo da Vinci sembra appartenere a qualche mano della sua bottega (in particolare Giovanni Boltraffio). Oltre alle complicate vicende attributive, il “Salvator Mundi” leonardesco è riuscito a scatenare grandi liti giudiziarie. Poco dopo l’esposizione londinese, l’opera fu venduta (nel 2013 per 80 milioni $) a Yves Bouvier, presidente di Natural Le Coultre, società svizzera che si occupa di trasporto e conservazione di opere d’arte. Bouvier lo ha rivenduto al miliardario russo Dmitry Rybolovlev per 127 milioni di dollari, che però subito dopo lo ha accusato d’averlo raggirato per il prezzo eccessivo. Un’accusa surreale considerata l’aggiudicazione di alcune ore fa.
Il palcoscenico
La storia della piccola tavola leonardesca sembra lo specchio dei nostri tempi, divisi tra avida speculazione finanziaria e ricerca di nuovi valori. Una cosa è certa. La mossa di Christie’s si è rivelata spettacolare. Un vero coup de théatre l’aver inserito il dipinto antico (carico di controversie attributive ed estimative) nella serata milionaria dedicata all’arte contemporanea. Una decisione stravagante. Giustificata perché «quest’opera rappresenta la più grande scoperta del secolo». In realtà, presa non certo per il nobile scopo diépater les bourgeois ma con l’obiettivo (centrato) di attirare l’attenzione di tutto il mondo. Facendo scorrere fiumi di denaro sull’arte. Non resta che porsi un quesito. Quanto durerà ancora questo scintillante palcoscenico dorato? Che cosa c’entra la passione per l’arte e la cultura con l’esibizione ostentata della ricchezza e la teatralità della «riccanza»? In fondo, a pensarci bene, sono domande legittime. Un tempo le arti e la cultura erano prima di tutto formative. A quasi mezzo millennio dalla sua morte (2 maggio 1519) Leonardo -forse- ha voluto indicarci, ancora, qualcosa. Thanks Leonard. Grazie Italia. Quella del Rinascimento.